Una serie di scandali nei Paesi produttori del Nord Europa sta scuotendo l’industria del salmone per le condizioni di allevamento

Una donna a bordo di un kayak si avvicina a delle grandi gabbie in mare, tra le acque ghiacciate di un fiordo nella regione meridionale dei Westfjords, in Islanda. Appena nei pressi dell’allevamento, lancia un piccolo drone e registra delle immagini destinate a far tremare l’intera industria del salmone: migliaia di salmoni nuotano debolmente, molti sono in fin di vita, alcuni galleggiano già morti sul pelo dell’acqua, letteralmente mangiati vivi dai parassiti attaccati al loro corpo.

Questo è solo il più eclatante dei casi che negli ultimi mesi hanno travolto l’industria del salmone nei Paesi del Nord Europa, in Islanda, ma anche in Scozia e soprattutto in Norvegia, il principale produttore al mondo, dove questo sistema di allevamento è nato circa 40 anni fa.

“Di recente in Norvegia abbiamo visto filmati e foto che mostravano tutti questi pesci morti,” ci racconta Simen Saetre, giornalista di inchiesta norvegese e co-autore del libro “The New Fish” dedicato all’industria del salmone. “Alcune aziende hanno sbarcato pesci morti o in fin di vita, per venderli ai consumatori. Ne è nato un grande dibattito.”

Anche in Islanda, frontiera di espansione per gli allevamenti di salmone, quasi sempre di proprietà delle stesse aziende norvegesi, dopo il susseguirsi di scandali l’opinione pubblica è sugli scudi. “In Islanda c’è un forte movimento ambientalista che sta chiedendo il divieto degli allevamenti in mare,” ci dice Harald Berglihn, giornalista del The Norwegian Business Daily.

Perché muoiono i salmoni – Secondo l’ultimo rapporto annuale pubblicato nei giorni scorsi dall’Istituto veterinario norvegese, nel 2023 un numero record di 62.7 milioni di salmoni sono morti negli allevamenti in mare in Norvegia, rispetto a una popolazione nelle vasche di circa 390 milioni di esemplari e una produzione nazionale di 1,5 milioni di tonnellate l’anno. In media, secondo lo studio, il 16,7% di tutti i salmoni allevati in Norvegia muoiono prima di essere raccolti, con alcuni allevamenti che toccano punte del 25%. I dati, pubblicati nei giorni scorsi, superano persino il record negativo del 2022, e non includono circa 30 milioni di giovani esemplari morti nelle fasi di allevamento che precedono le vasche in mare, e altri circa 50 milioni di “pesci pulitori”, immessi nelle vasche per eliminare i parassiti .

I numeri negli altri Paesi produttori sono persino peggiori: in Scozia, dove la produzione di salmone è di gran lunga inferiore alla Norvegia (169 mila tonnellate nel 2022), da novembre 2022 a novembre 2023 le autorità hanno contato 20.7 milioni di salmoni morti negli allevamenti; le autorità del Cile, secondo produttore al mondo, non pubblicano statistiche puntuali ma riferiscono di frequenti episodi di mortalità di massa che in alcuni casi hanno sterminato interi allevamenti.

I salmoni muoiono negli allevamenti per diversi motivi, dalle patologie alle condizioni ambientali. In Norvegia la principale causa di mortalità è l’infestazione di pidocchi di mare (epeophtheirus salmonis), parassiti che si attaccano all’animale creando lesioni dolorose che, sopra un certo numero, possono essere anche fatali. Questo organismo è presente in natura, ma con il moltiplicarsi degli allevamenti intensivi nei fiordi negli ultimi decenni ha trovato condizioni ideali per diventare una calamità per l’ecosistema.

“Abbiamo avuto questo problema sin dalla nascita degli allevamenti,” ci racconta Trygve Poppe, professore emerito alla facoltà di Medicina veterinaria alla Norwegian University of Life Sciences. Poppe ha lavorato negli allevamenti di salmone dal 1981, quando questa industria faceva i suoi primi passi: “Quando concentri i pesci nelle gabbie, mettendo in ognuna anche 200 mila individui… se pensi che in Norvegia ci sono migliaia di gabbie lungo la costa, il numero di pesci è milioni di volte superiore a quello di un tempo,” ha detto. “E la maggior parte della produzione avviene in gabbie aperte, con l’acqua che circola liberamente, per cui i pidocchi nel loro stato larvale sono trasportati tra le gabbie e tra i diversi allevamenti.”

L’opinione pubblica. Anche se il problema è noto da sempre ai produttori, il dibattito pubblico si è scatenato nelle ultime settimane dopo la pubblicazione di una serie di indagini realizzate da giornalisti e attivisti per l’ambiente. In Norvegia in particolare la polemica è esplosa dopo che alcuni controlli a sorpresa dell’Agenzia per la sicurezza alimentare hanno rivelato che pesci malati o deceduti in alcuni casi venivano destinati al consumo umano.

“Hanno introdotto quelle che chiamano ‘navi macello d’emergenza’,” ci rivela Poppe. “Se vedono che i pesci sono deboli e fragili, e non supererebbero trattamenti contro i parassiti, con queste barche li macellano sul posto prima che muoiano.”

Il tema riguarda anche salmoni destinati all’esportazione: alla fine del 2023 un’altra indagine dell’Agenzia per la sicurezza alimentare norvegese condotta su 49 aziende ha scoperto che in 11 casi il pesce esportato non rispettava gli standard minimi di qualità previsti dalla legge.

“I pidocchi del salmone fanno parte della produzione,” ha detto in un evento di settore Gustav Witzoe, il direttore di Salmar, seconda azienda produttrice di salmone al mondo, come riportato dal giornale specializzato IntraFish. “Ci saranno sempre, non è possibile liberarsene.”

Secondo Witzoe, però, “l’industria norvegese è stata brava a trattare i parassiti,” riducendo il tasso di mortalità durante i trattamenti. E in ogni caso, secondo l’imprenditore, “i pidocchi non sono un problema per i salmoni e per il loro benessere.”

Secondo Poppe l’industria del salmone è “piuttosto cinica” a produrre nonostante un così elevato tasso di mortalità e la sofferenza per gli animali che ne consegue: “Gli allevatori non vogliono smettere di usare le gabbie in mare, preferiscono accettare la mortalità e ignorare il benessere animale fintanto che c’è un buon profitto,” ha detto il veterinario.

Muore anche il salmone selvatico. Il problema della mortalità non si limita ai salmoni allevati. Secondo uno studio del 2017 dell’Atlantic Salmon Committee, soltanto in Norvegia si trova il 25% di tutte le popolazioni selvatiche di Salmone Atlantico. Popolazioni, che secondo lo stesso studio, negli ultimi tre decenni sono crollate (con cali tra il 70 e il 90% in alcuni casi), proprio a causa degli allevamenti.

“I principali responsabili di questa riduzione sono proprio i pidocchi di mare,” afferma Kjetil Hindar, esperto ricercatore del Norwegian Institute for Nature Research (NINA). “Sappiamo che le larve dei pidocchi degli allevamenti attaccano i salmoni selvatici quando iniziano la migrazione,” afferma Hindar. In questa fase gli esemplari selvatici sono ancora di piccole dimensioni, tra i 12 e i 13 centimetri: “Se sono attaccati da troppe larve di pidocchi di mare, muoiono”, ha detto.

Già dal 2017 la Norvegia ha riconosciuto il problema, mettendo a punto un sistema “a semaforo” che impone agli allevatori di salmone di ridurre la densità nei propri allevamenti in caso di eccessiva mortalità tra i salmoni selvatici.

Lo spreco di risorse. Il salmone, come le spigole, le orate, le trote, i gamberi, i tonni, i polpi, è un pesce carnivoro. Secondo uno studio pubblicato a gennaio dall’Ong inglese Feedback, nel 2020 quasi 2 milioni di tonnellate di pesce selvatico sono state usate come mangime per produrre 1,5 milioni di tonnellate di salmone. Una grossa parte di questo pesce selvatico è stato importato dall’Africa Occidentale, dove – calcola l’Ong – avrebbe potuto sfamare tra i 2,5 e i 4 milioni di persone.

Secondo Saetre, l’elevata mortalità negli allevamenti non fa che aggravare questo problema: i pesci morti o malati diventano scarti o sottoprodotti, ma “spesso hanno vissuto a lungo, mangiando molti mangimi.”

La leva della sostenibilità. L’industria del salmone si professa come una bandiera della sostenibilità: “Tra i 17 Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite, l’industria può contribuire in modo significativo almeno a dieci,” scrive nella sua ultima presentazione aziendale l’azienda MOWI, il principale produttore al mondo.

La leva della sostenibilità ha permesso all’industria di crescere esponenzialmente: nel 2022 la produzione di salmone ha raggiunto 2.8 milioni di tonnellate, per un valore di mercato di 16 miliardi di dollari. La Norvegia ha un piano per triplicare la sua produzione fino a 5 milioni di tonnellate entro il 2050, mentre altri Paesi – tra cui il Cile e la Scozia – continuano a investire, seguendone l’esempio.

Negli ultimi anni, di contro, Paesi come la Danimarca, l’Argentina, l’Alaska, lo Stato di Washington e la California hanno bandito gli allevamenti in mare di salmone sulle proprie coste, e una simile decisione è in cantiere per la British Columbia, in Canada.

L’Unione Europea incoraggia e investe nello sviluppo dell’acquacoltura in mare, che ritiene una produzione sostenibile, e fino ad oggi ha avuto una posizione di sostegno anche verso i Paesi produttori di salmone. A dicembre 2023 l’UE ha siglato un accordo commerciale con la Norvegia e il Regno Unito che favorisce l’importazione di salmone. Di segno opposto, invece, la notizia degli ultimi giorni di una procedura di indagine aperta dalla Commissione Europea nei confronti di sei grandi produttori Norvegesi, accusati di pratiche di concorrenza sleale per controllare i prezzi di vendita verso i Paesi membri.​

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