Scontro tra politica, produttori e pescatori all’ultimo vertice FAO, che ha celebrato il sorpasso degli allevamenti ittici sulla pesca.

L’acquacoltura può essere una risposta sostenibile per sfamare la crescente popolazione mondiale? Le risposte che arrivano dall’ultimo summit dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) dedicato alla pesca e all’acquacoltura (COFI36) sono diametralmente opposte: da una parte la stessa FAO e i Paesi produttori celebrano l’aumento vertiginoso degli allevamenti di pesce nel mondo come un grande traguardo; dall’altra le delegazioni dei piccoli pescatori dai diversi continenti parlano di un sistema predatorio, che sta distruggendo e riducendo alla fame i rispettivi territori. 

“L’aumento dell’acquacoltura sta portando la produzione di pesce e di prodotti ittici a nuovi record,” ha detto Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in apertura del meeting che si è tenuto a Roma, alla sede dell’agenzia delle Nazioni Unite, dall’8 al 12 luglio. 

Dongyu nel suo discorso ha rimarcato la posizione di forte sostegno della FAO verso l’ulteriore sviluppo di questa industria, che ha definito “di importanza fondamentale per i consumatori.”

Solo poche settimane fa la stessa FAO ha pubblicato un rapporto (l’ultima edizione di The State of World Fisheries and Aquaculture) in cui ha annunciato che nel 2022 la produzione ittica globale ha toccato il record di 223,2 milioni di tonnellate, e per la prima volta il numero di pesci allevati ha superato la quantità del pescato globale. 

“Il sorpasso dell’acquacoltura alla pesca per produrre animali acquatici è un grande traguardo, dobbiamo congratularci,” ha commentato Xinzhong Liu, direttore generale della direzione pesca del governo cinese. 

La Cina è il principale produttore di acquacoltura al mondo: con 58,1 milioni di tonnellate, nel 2023 ha rappresentato circa il 60% della produzione di prodotti ittici allevati nel mondo, e continua a investire per far crescere questa industria. “Il governo cinese dà grande importanza all’acquacoltura e non risparmia nessuno sforzo per promuovere il suo ulteriore sviluppo,” ha detto Liu.

A fare da contraltare ai toni trionfalistici, al meeting FAO di Roma hanno partecipato decine di delegazioni di gruppi di piccoli pescatori artigianali, che hanno invece denunciato come l’aumento dell’acquacoltura stia creando dei prodotti a valore aggiunto per i mercati più ricchi, impoverendo le comunità locali dove proliferano gli allevamenti. 

“La pesca di piccola scala e i diritti umani delle popolazioni indigene sono spesso violate, a causa delle flotte che fanno pesca industriale e dei grandi progetti di acquacoltura,” hanno detto in una dichiarazione congiunta le decine di sigle di piccoli pescatori che aderiscono al Comitato Internazionale di Pianificazione per la Sovranità Alimentare. Nel documento congiunto, i gruppi di piccoli pescatori parlano di terreni agricoli convertiti in zone per l’acquacoltura, di inquinamento delle coste e dei bacini idrici, di distruzione di hotspot della biodiversità, di conflitti, di sottrazione delle risorse ittiche per la produzione dei mangimi. 

“Negli ultimi 20 anni il governo ha incentivato l’acquacoltura su larga scala”, ha detto al Corriere Suman Kalyan Mandal, pescatore artigianale della costa orientale dell’India, e portavoce del World Forum of Fish Harvesters and Fish Workers (WFF). “La produzione integrata di agricoltura e piccoli allevamenti di pesce è un sistema tradizionale della nostra cultura, ma quando incentivano l’acquacoltura, incentivano soprattutto allevamenti di gamberi. Quindi tutti i terreni agricoli sono convertiti in allevamenti di gamberi,” ha detto, parlando di intere comunità private della propria produzione di sussistenza.

Durante il meeting di Roma, la FAO ha presentato delle attese linee guida per l’acquacoltura sostenibile, scritte in un lungo processo che ha coinvolto i Paesi produttori dal 2017 ad oggi, e che sulla carta vorrebbero affrontare anche i tanti temi sollevati dalle comunità costiere.

“Le linee guida riconoscono che i Paesi hanno diverse sfide da affrontare, esigenze e capacità nello sviluppo dell’acquacoltura,” ha detto Raphaël Goulet, rappresentante della direzione per gli Affari marittimi e la pesca della Commissione Europea (DG-MARE), in un evento di presentazione del documento. “Anche se non sono obbligatorie, le linee guida FAO saranno un punto di riferimento chiave”, ha detto Goulet, citando ad esempio la raccomandazione del documento nel coinvolgere più donne nell’occupazione legata agli allevamenti ittici.

Le sigle di piccoli pescatori hanno accolto in maniera critica le linee guida. Una fonte che ha seguito il processo decisionale che ha portato alla stesura del documento ha parlato di un processo “opaco”, senza partecipazione, guidato dai Paesi produttori di acquacoltura, dove le uniche informazioni che trapelavano erano bozze provvisorie del documento. 

Un punto particolarmente controverso delle linee guida riguarda l’utilizzo del pesce selvatico per la produzione di mangimi, destinati agli allevamenti di pesci carnivori ad alto valore aggiunto, come i salmoni, le spigole, le orate, i tonni, i gamberi. Ad oggi si stima che circa 20 milioni di tonnellate di pesce pescato ogni anno siano destinate a scopi diversi dal consumo umano, principalmente per la produzione di mangimi. 

“Bisogna capire che cosa intendiamo per sostenibilità?”, ha detto al Corriere Gaoussou Gueye, presidente della Confederazione africana per la pesca artigianale (Caopa), originario del Senegal. “Noi abbiamo proposto un’acquacoltura che non sia basata sulla farina di pesce,” ha detto Gueye. “Non possiamo proteggere gli oceani e le risorse ittiche e al tempo stesso accelerare lo sfruttamento del pesce per produrre della farina per nutrire dei pesci allevati.”

Nonostante le tante richieste alla FAO di escludere l’allevamento di pesci carnivori dalle produzioni ritenute “sostenibili”, su questo aspetto le linee guida si limitano a raccomandare agli Stati produttori di “evitare o, quando non è possibile, minimizzare gli impatti negativi sulla vita, la sicurezza alimentare e l’ambiente” legati all’approvvigionamento di risorse marine per produrre mangimi, e di “assicurarsi che vengano da una pesca sostenibile.” Il documento non fa riferimento alla sostenibilità della soia, che pure è usata in grande quantità come ingrediente proteico dei mangimi.

 

Leggi l’articolo su

One Earth è un progetto di informazione indipendente, basato anche sul sostegno dei lettori. Aiutaci a raccontare questa storia con un contributo!