Giornata internazionale delle foreste. L’ombra della guerra fino in Amazzonia: la deforestazione avanza
Nel febbraio 2022 la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana ha segnato un nuovo record e secondo diversi analisti nei prossimi mesi l’aumento della domanda di soia e altre materie prime legato al conflitto in Ucraina rischia di aggravare ulteriormente la situazione, avvicinando la foresta a un “punto di non ritorno”.
Non sono positive le notizie che arrivano in occasione di questo 21 marzo Giornata internazionale delle foreste. Secondo le più recenti rilevazioni dell’Agenzia spaziale brasiliana (Inpe), nel mese scorso la deforestazione in Amazzonia ha toccato un nuovo – ennesimo – record, con 199 chilometri quadrati deforestati, in aumento del 62% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Si tratta del dato più alto dal 2015, quando è iniziato questo tipo di rilevazioni, e conferma il record segnato anche nel mese di gennaio (430 chilometri quadrati).
“Questa notizia arriva in un momento in cui l’attenzione globale è altrove, e in vista delle elezioni politiche, in cui il presidente di estrema destra Jair Bolsonaro sta cercando di conquistare il supporto del settore agricolo che preme per affievolire i controlli sulla deforestazione”, ha commentato a caldo l’associazione ambientalista Greenpeace.
Guerra al Pianeta
Le elezioni presidenziali in Brasile, previste per il 2 ottobre, non sono l’unica “nube” a stagliarsi sul futuro dell’Amazzonia, come delle altre principali foreste tropicali. Nelle ultime settimane il conflitto tra Russia e Ucraina ha innescato un clima da emergenza per l’approvvigionamento di materie prime alimentari come grano, mais, semi di girasole e soia, in particolare dall’Ucraina “granaio d’Europa”, che sta già avendo effetti a catena ovunque.
“Oggi ci troviamo in una situazione estremamente complessa e purtroppo destinata a peggiorare in ragione delle tensioni geopolitiche in atto. La questione riguarda i cereali, ma anche i semi oleosi”, ha detto Massimiliano Giansanti, coordinatore di Agrinsieme (sigla che riunisce Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari), intervenendo il 10 marzo a un Tavolo sul grano convocato dal ministero per le Politiche agricole e forestali.
La soia è una delle principali materie prime legate alla deforestazione (assieme alla carne bovina e all’olio di palma). “L’Ucraina produceva tra le 6 e le 7 tonnellate di semi di soia l’anno, che veniva esportata in Europa, in Germania, ma anche in Italia, in particolare soia ogm free”, afferma Enrico Zavaglia, trader di materie prime.
Secondo Confagricoltura Veneto, sin dall’inizio del conflitto “molte aziende agricole hanno cominciato ad acquistare il fabbisogno per i mangimi in Sudamerica, dove Argentina e Brasile sono tra i maggiori produttori mondiali di soia”. La domanda di soia si è impennata al punto tale che il 14 marzo l’Argentina ha bloccato le esportazioni di farina e olio di soia per tutelare il mercato interno, anche se, secondo alcuni analisti, la mossa è in realtà mirata a un aumento opportunista delle tariffe.
Anche se è difficile valutare le conseguenze nel breve periodo, storicamente l’aumento del prezzo e della domanda di soia in Sud America è collegato a una maggiore pressione sulla deforestazione. “L’Ucraina produce anche soia. In termini di approvvigionamenti, sappiamo che c’è un problema che durerà anche nei prossimi mesi”, afferma Michael Lathuillière, analista dello Stockholm Environment Institute. “È molto difficile fare previsioni in termini di deforestazione, la soia si sta raccogliendo adesso e sarà seminata di nuovo tra settembre e novembre”.
“L’Ucraina, come gli Stati Uniti, esporta in Europa soia senza deforestazione”, continua Lathuillière. “Se la parte che viene dall’Ucraina sparisce, dovremo prenderla da qualche altra parte, e questo renderà più difficile rispettare le regole UE sulla protezione degli ecosistemi”.
Farina di soia, olio di palma
La domanda di soia e olio di palma è collegata anche a un “effetto sostituzione” di materie prime: “In questi giorni il dramma più grosso lo vive il comparto dell’olio di girasole”, afferma Zavaglia. “I prezzi sono letteralmente raddoppiati. Alcune aziende sono passate a utilizzare olio di colza, olio raffinato di sansa o di oliva, aumentando i costi” mentre altre “purtroppo torneranno a usare l’olio di palma. Quello c’è ed è disponibile, anche se è aumentato un po’”.
Secondo The Observatory of Economic Complexity Ucraina e Russia insieme coprono il 70% dell’export di olio e semi di girasole mondiale. Il prodotto è venduto, ma anche usato per i mangimi o per prodotti industriali, come i sott’olio o le patatine fritte.
L’effetto sostituzione riguarda anche la soia. Con i semi di girasole ucraini si produce anche farina proteica, destinata in genere ai mangimi. “Se il mangimista non trova la farina di girasole deve usare altra farina proteica, quindi la colza o la farina di soia, aumentando la domanda”, afferma Zavaglia.
Tutele ambientali o di mercato?
Giovedì a Bruxelles si è tenuto un incontro tra i ministri dell’Ambiente dei Paesi dell’Unione Europea per discutere la bozza della nuova normativa comunitaria contro l’import di materie prime a rischio deforestazione. In questi giorni però l’industria alimentare sta chiedendo a gran voce un allentamento urgente e straordinario delle misure comunitarie per la tutela ambientale, per sopperire alla mancanza di materie prime.
In Italia, Giansanti di Agrinsieme ha detto chiaramente al tavolo del Mipaaf che “guardando all’orizzonte comunitario riteniamo che debba temporaneamente essere sospesa l’adozione della nuova Pac, così come l’obbligo del greening; allo stesso modo si renderebbe necessaria una proroga dell’attuazione della strategia Farm to Fork, rivedendola alla luce della situazione odierna”. Secondo il portavoce delle sigle del comparto agricolo, “serve una valutazione approfondita, infine, sulla questione fertilizzanti e sulle zone vulnerabili a nitrati. Anche qui è necessaria la sospensione temporanea in ragione dell’eccezionalità della situazione”.
Con un simile tono, le sigle Europee dei produttori di mangimi, cereali e semi oleosi (Fefac, Fediol, Cocerac) hanno pubblicato la settimana scorsa un documento in cui hanno chiesto espressamente di alleggerire le regole della normativa UE contro la deforestazione: “La bozza di regolamento non tiene conto degli sforzi che abbiamo fatto e dei progressi ottenuti negli ultimi dieci anni nell’approvvigionamento di soia e olio di palma”, si legge nel testo.
“Ci sono multinazionali e governi che stanno facendo di tutto per annacquare questa normativa”, afferma Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “Nonostante gli impegni presi durante l’ultimo vertice mondiale sul clima (Cop26) per accelerare la protezione delle foreste, quattro delle più grandi aziende agroalimentari del mondo stanno cercando delle scappatoie per aggirare l’obbligo di tracciabilità di prodotti e materie prime”.
A queste pressioni dell’industria ha risposto una lettera pubblicata il 18 marzo e firmata da 301 ricercatori, che hanno chiesto di non fare marcia indietro sulle tutele ambientali, ma di accelerare la transizione verso un diverso sistema alimentare: “I legislatori non dovrebbero abbandonare le pratiche di agricoltura sostenibili solo per aumentare la produzione di cereali”, si legge nel documento. “L’insicurezza alimentare non è dovuta a una carenza di cibo, ma a una distribuzione iniqua. Già oggi c’è abbastanza cibo per nutrire il Pianeta, anche in questo periodo di guerra. Ma i cereali vengono usati per i mangimi degli allevamenti, come biocombustibili oppure finiscono sprecati, piuttosto che nutrire le persone affamate”, ha detto Sabine Gabrysch del Potsdam Institute for Climate Impact Research, una delle ricercatrici che ha lavorato al documento.
Punto di non ritorno
Quello che è sicuro è che non abbiamo più molto tempo. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, “i ritmi di deforestazione e i cambiamenti climatici stanno spingendo l’Amazzonia verso un punto di non ritorno, con l’aumento della stagione secca e il ridursi delle piogge”. Superata questa soglia, affermano i ricercatori, la foresta è destinata a trasformarsi in una grande savana, rilasciando enormi quantità di gas serra in atmosfera.
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